Riflessioni al margine della lettura di Harari Y.N., Lezioni per il XXI Secolo, Bompiani, 2018.

L’importanza dell’essere umano nei processi produttivi si basa sull’ipotesi che un individuo possa mettere a sistema forza fisica e capacità cognitiva.

Le precedenti rivoluzioni industriali hanno sempre ottenuto un sostanziale equilibrio tra le perdite di posti di lavoro dovute all’automazione (in quanto le macchine sostituivano efficientemente la forza fisica dell’uomo) e la creazione di nuovi lavori basati sulle capacità cognitive. Così, quando i robot o le macchine hanno iniziato a produrre tessuti o a costruire automobili, l’uomo ha potuto sfruttare le sue capacità cognitive nel settore dei servizi, facendo design per la moda oppure aprendo autosaloni.

Più leggo ed approfondisco il tema delle applicazioni dell’intelligenza artificiale, della robotica/cibernetica, della bioingegneria, dell’internet of things, blockchain e più mi sto convincendo che la prossima (o questa, non so) rivoluzione sarà molto diversa dalle altre.

In questo preciso momento, mentre scrivo, numerosi ricercatori delle più prestigiose università e centri di ricerca mondiali sono impegnati su progetti a 3-5 anni, molti dei quali in scadenza. Progetti che prevedono l’accrescimento del sapere ed il miglioramento delle tecniche e strumenti negli ambiti di cui scrivevo poc’anzi (AI, IoT, bioingegneria, cibernetica ecc). Tale fecondità scientifica è diversa dalle altre del passato proprio perché i ricercatori possono avvalersi di sistemi di calcolo stupefacenti aumentando così l’intelligenza complessiva messa in campo.

 

Un esempio di questa straordinaria epoca storica può essere tratto dal gioco degli scacchi.

Nel 1996, l’allora campione russo Gerry Kasparov fu sconfitto per la prima volta dall’algoritmo della IBM Deep Blue.
Da allora, i ricercatori hanno sempre più perfezionato gli algoritmi di gioco e il contributo umano si è via via ridotto.
Nel 2016, il campione del mondo si chiamava Stockfish 8, un sistema di intelligenza artificiale al quale era stato insegnato a giocare a scacchi attraverso l’acquisizione dell’esperienza umana accumulata nei secoli precedenti. La sua potenza di calcolo era di 70 miliardi di posizioni al secondo.
Google, nel frattempo, aveva investito in un ulteriore sistema di intelligenza artificiale, chiamato AlphaZero, al quale, però, non era stato insegnato nulla sul gioco degli scacchi ma che, viceversa, usava i principi dell’apprendimento automatico. La sua potenza di calcolo era solo di 80 mila calcoli al secondo.
L’anno successivo, nel 2017, AlphaZero vinse 28 partite e ne pareggiò 62, senza perderne una, contro Stockfish, laureandosi campione del mondo.
Il tempo di addestramento di AlphaZero, per conseguire un tale sorprendente risultato, è stato di sole 4 ore!

Ora, se nella seconda metà del 1700, un individuo era costretto a chiudere la propria bottega, a causa dell’introduzione del telaio, ma riusciva a ricollocarsi nella fabbrica che produceva telai; un cocchiere di carrozze poteva richiedere una licenza di tassista; oppure, se un impiegato in fabbrica che oggi perde il lavoro può offrirsi come cassiere in un supermercato, le stesse cose domani potrebbero non avvenire con la stessa facilità. Un impiegato in un’impresa di trasporti che perde il suo lavoro per colpa dei droni avrebbe maggiore difficoltà nel trovare impiego in una fabbrica di droni.

 

È quello secondo il quale la nuova rivoluzione industriale potrebbe mettere l’uomo sullo stesso piano del cavallo, eliminato dal mondo del lavoro a seguito dell’introduzione del motore a vapore.
A quel punto, la questione più importante che si aprirebbe non sarebbe più quale lavoro far fare agli esseri umani, bensì, quale possa essere l’utilità di miliardi di individui incapaci di gestire l’automazione. Il rischio, per l’appunto, è che l’uomo possa diventare “inutile”.

 

Claudio Nigro

Claudio Nigro

PhD & Full Professor of Management